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Una riflessione sull’estate: Sicilia ed una casa

 

Posso vederle ora. Primo le ore sotto un sole mediterraneo, con tutte le scale irregolari ad e dal mare. Queste scale esistono come per dire ci sono tre elementi cruciali: terra abitabile,
pietra, ed acqua. Per me, loro erano la mia indipendenza, una indipendenza che è vissuta sola per un mese. In questa indipendenza, ho immaginato una vita sola, una vita piena di viaggi, una vita che non avrei dovuto condividere. Ho immaginato tutte quelle cose là, e ora, nella mia mente, le scale sono sinonimo con quelli pensieri. Ora, lontano da là, questi pensieri dissolvono. Sebbene che io sappia che le scale si stanno ancora snodando su e giù un pendio d’Etna, immagino che loro scompaiano quando lì non sono io. Suppongo ch
e sia il mio desiderio ad avere il luogo impenetrabile, quasi immaginario, dove sono diventata confortabile in solitudine. Ma, loro serpeggiano, e dimentico ciascuno di loro sempre più come le gam
be non sentono più lo sforzo che le scale esigono. Perdo mia forza se non provassi ricordare.C’era mio sudore quando ho scalato, ogni giorno, queste scale. Ricordo il vento dal mare nel pomeriggio. Poi ero consapevole d’ altro sudore, il sudore di provolone dolce nella mia borsa, fasciato in una pellicola trasparent
e, usata il giorno precedente per un pezzo di cioccolata svizzera, data da il mio padre ospito con un largo sorriso. La memoria della cioccolata svizzera e le rughe della sua faccia gentile riporto alla mente al giardino pubblico dove, sedendo, ho mangiato questo dolce. Sono andata lì alcune volte, ma quante volte non posso ricordare. La pietra fredda delle rovine e il rumore dei bambini erano lì. Una madre dice su ed il bambino piccolo ride, salendo le scale, arriva allo scivolo. Lui arriva allo scivolo e alla salta.
Le vestigia di queste ore ancora restano qui, sulle mie pelle d’oro. Sorriso come i miei peli, decolorati, dicono della spiaggia. Dicono dell’ indipendenza.
Poi c’erano le ore dentro un alloggio, i giorni quando, dopo una vacanza indimenticabile in cui io avevo scoperto un intervento per la mia passività, ho fatto niente. In questi giorni, il corso dei eventi siciliani comincia a recedere. Questo alloggio non è mio, ho pensato, ma è una struttura fatta negli anni settanta che chiamo home, casa, dove ricordi di bagni e mio padre, leggendo una ricetta per pane da King Arthur’s Flour Recipes, mi scherniscono. Loro dicono sono partiti e sarei indipendente ma la pioggia di Washington viene nell’esatto nello stesso momento in cui trovo il mio costume di bagno. La pioggia era, a volte, è acqua ed, altre volte, Sedgwick, Foucault, e Butler. Nel suo picchiettio, ho sentito non c’è una verità, non c’è indipendenza, solo c’è e non c’è.
Dovrei impiegare un’interpretazione su quest’estate?  Immaginerò una conclusione. Era l’estate dentro un’estate: un mis en abyme che ha balzato giù dalla pagina d’un dramma. Potrebbe essere chiamato un risveglio perso in un mondo senza una verità. Dirò che, all’interno c’è la lezione e l’aspirazione. Dirò che la Sicilia è nel tutte e dio centro nella mia vita vissuta e il dramma scritto. La Sicilia è le scale, mio auto-governo. Ma imparo quotidianamente che non c’è un significato vero. Vedo che i simboli, simboli come le scale, sono sole stampelle contra post-modernismo. O umani, abbiamo un’immaginazione sia meravigliosa sia terribile! Come categorizziamo. Come sogniamo. Sognerò in silenzio, aspettando per un’altra estate.

Corpi senza fine,

o Una meditazione sulla esistenza d’un dio

I

Vivo sul corpo d’un altro. Nuoto negli occhi quando il corpo piange. Ogni lacrima salata è mio mare. Ogni palpebra, una costa. Ogni battito di ciglia, una notte.

Quest’acqua salata distorce. Nuoto e distorce la pelle. Gioco con le rughe dopo io sono uscita dal liquido. Poi, in questa solitudine, penso che il corpo mi osservi.

Mi siedo sul naso arcuato per guardare gli occhi penetranti. Nelle iridi celesti, mi perdo. Medito nei circoli imperfetti fino a due occhi diventano uno, pietoso e puro.

Lo vedo. C’è significato. Il suolo vibra mentre i peli che, come l’erba, fanno il solletico. Gli alberi flettono, come nostre dita. Il fiume gorgoglia.

Il corpo sbatte le palpebre. Il trance ipnotico è rotto. Noi diventa io. Riconosco me stessa, un corpo riflesso, negli occhi. Sono ancora sola.

II

A volte lei è un uomo; a volte lui è una donna. Sul corpo da lei, faccio una casa dietro un orecchio. Immagino che lei ascolti sempre quando sono vicino. Immagino che interceda a favore di me.

Ogni poro è una fondazione. Tra lo spazio dove capelli, castani e tratti, finiscono e la piega comincia, la pelle non suda. Qui mi sgranchisco le gambe tra due follicoli piliferi e penso.

C’era un periodo, prima di quello mi ricordo, in cui non avevo questa forma o questa faccia? La labbra sottile e screpolata scosta, e nell’alito potrebbe essere una risposta. Io ho avuto sempre dieci diti del piede?

Il mignolo, deforme, punta verso il dito alluce. Al(la) luce: come io, deforme e minuscola, ammiro il corpo che mi dà tale luce. Ma, qualche volte, vedo che lei ha anche le ombre sul corpo. Distolgo il mio sguardo dalla tenebre.

Ci sono cose che non dovremmo vedere. Se fosse altra fonte dove nasce la luce, direi che questo mondo è troppo grande o che io sono troppo piccola?

III

La pelle dell’abisso tra mio dito indice e pollice si squama e io sputo sullo spazio, pensando, come una speranza, che io potrei essere un corpo dove qualcuno vive, dove qualcuno nuota nei miei occhi e costruisce una casa nel mio ombelico. E sorrido e abbraccio il suolo. Immagino che il corpo mi conosca. Lo immagino, questo regresso infinito.