o Una meditazione sulla esistenza d’un dio
I
Vivo sul corpo d’un altro. Nuoto negli occhi quando il corpo piange. Ogni lacrima salata è mio mare. Ogni palpebra, una costa. Ogni battito di ciglia, una notte.
Quest’acqua salata distorce. Nuoto e distorce la pelle. Gioco con le rughe dopo io sono uscita dal liquido. Poi, in questa solitudine, penso che il corpo mi osservi.
Mi siedo sul naso arcuato per guardare gli occhi penetranti. Nelle iridi celesti, mi perdo. Medito nei circoli imperfetti fino a due occhi diventano uno, pietoso e puro.
Lo vedo. C’è significato. Il suolo vibra mentre i peli che, come l’erba, fanno il solletico. Gli alberi flettono, come nostre dita. Il fiume gorgoglia.
Il corpo sbatte le palpebre. Il trance ipnotico è rotto. Noi diventa io. Riconosco me stessa, un corpo riflesso, negli occhi. Sono ancora sola.
II
A volte lei è un uomo; a volte lui è una donna. Sul corpo da lei, faccio una casa dietro un orecchio. Immagino che lei ascolti sempre quando sono vicino. Immagino che interceda a favore di me.
Ogni poro è una fondazione. Tra lo spazio dove capelli, castani e tratti, finiscono e la piega comincia, la pelle non suda. Qui mi sgranchisco le gambe tra due follicoli piliferi e penso.
C’era un periodo, prima di quello mi ricordo, in cui non avevo questa forma o questa faccia? La labbra sottile e screpolata scosta, e nell’alito potrebbe essere una risposta. Io ho avuto sempre dieci diti del piede?
Il mignolo, deforme, punta verso il dito alluce. Al(la) luce: come io, deforme e minuscola, ammiro il corpo che mi dà tale luce. Ma, qualche volte, vedo che lei ha anche le ombre sul corpo. Distolgo il mio sguardo dalla tenebre.
Ci sono cose che non dovremmo vedere. Se fosse altra fonte dove nasce la luce, direi che questo mondo è troppo grande o che io sono troppo piccola?
III
La pelle dell’abisso tra mio dito indice e pollice si squama e io sputo sullo spazio, pensando, come una speranza, che io potrei essere un corpo dove qualcuno vive, dove qualcuno nuota nei miei occhi e costruisce una casa nel mio ombelico. E sorrido e abbraccio il suolo. Immagino che il corpo mi conosca. Lo immagino, questo regresso infinito.